L’incontro
Mario stava pensando a quella ragazza che aveva incontrato ieri, bella, longilinea e con quell’espressione così particolare che gli mostrava interesse, ma che poteva anche fare a meno di lui. Che strano, le ragazze che aveva conosciuto finora sembravano più semplici, più trasparenti, o ci stavano oppure no e con lui, modestamente, ci stavano sempre.
Era riuscito a strapparle un appuntamento veloce per un caffè, ma ciò che lo turbava era cosa poteva fare per rendersi interessante, per catturare la sua attenzione. Ogni parte del suo corpo fremeva, era ansiosa di rivederla anche se dopo non avrebbe saputo come comportarsi e questo pensiero lo infastidiva.
Non si era mai trovato in una situazione simile, era come se tutte le emozioni del mondo gli piombassero addosso all’improvviso, ma senza fargli del male, anzi, facendolo stare anche troppo bene! Così bene che si sentiva completamente rimbecillito e incapace di connettere.
Ma se quando la vedrò mi sentirò così… e se le parole non mi usciranno… e se mi tremeranno le mani? Oh Mario, sveglia! Quando mai uno come te si preoccupa per queste cose? Ce l’hai sempre fatta, perché proprio ora ti sembra così difficile?
Non so neanche come si chiama. Ieri, quando ci siamo parlati, non ho avuto nemmeno la prontezza di chiedergli il nome. Era assieme ad altre ragazze e parlando così del più e del meno, ho capito che erano colleghe di lavoro e prima che se ne andassero ho azzardato timidamente – ci vediamo domani per un caffè? – e lei, girandosi – sì, volentieri.
Che genio sono stato, che appuntamento sono riuscito a strappare. Tanto ci sarebbe andata lo stesso all’indomani in quel bar, anche se non gliel’avessi chiesto io.
Mario, vieni, la cena è pronta! – Era la madre, che svegliandolo dal torpore, gli rammentava che anche il corpo ha le proprie esigenze. Si alzò dal letto nel quale si era seduto a riflettere e uscendo dalla camera si ricordò di avere una famiglia che gli voleva bene e che pensava a lui e che tutto quel rimuginare non serviva a niente, tanto adesso aveva solo fame.
Che strano però, appena sua madre lo chiamò uscì subito dalla sua camera, mentre solitamente, dopo cinque o sei chiamate, la madre doveva andarlo a prendere rammentandogli che la cena si stava raffreddando e solo allora lui, svogliatamente, acconsentiva di sedersi a tavola. E poi non parlava quasi mai, mangiava avidamente con velocità e se ne ritornava in camera davanti al computer, oppure usciva subito con gli amici. Ma quella sera… parlava, parlava a dirotto di qualunque argomento, sembrava gli piacesse stare con i genitori e che dialettica esibiva! La serata non finiva mai, tanto che furono i suoi genitori a dirgli – ciao Mario, ci ha fatto piacere questa serata diversa dal solito, ma noi andiamo a letto perché domattina ci dobbiamo alzare presto e sarebbe bene ci andassi anche tu.
A LETTO? E cosa ci faccio a letto, da solo?
E subito la vede. È un’immagine mentale enorme che lo perseguita, ma è una sofferenza gradita e gli piacerebbe tanto potergli dare un nome. Ma non è un problema, tanto domani ci vediamo. Quante cose avrò da dirgli speriamo sia così anche per lei.
Gli dirò anche che per la prima volta in vita mia ho cenato volentieri con i miei genitori, gli dirò che l’ho pensata tutta la notte, gli dirò che non vedevo l’ora di incontrarla, gli dirò… gli dirò…
Ma cos’è questa musica, che bella, sembra La Primavera di Vivaldi.
È la sveglia Mario, è ora di alzarsi e di andare al lavoro!
Al lavoro la mattinata non passava mai, tutto era un problema, i clienti si lamentavano per un nonnulla, le cose non erano al loro posto, sembrava proprio che ogni cosa fosse a suo sfavore, e poi, il tempo che non passava mai. Ma perché manca ancora così tanto alle tredici, perché sono così nervoso e perché mi sento tutta questa fretta addosso? Basterebbe solo un po’ della centratura che vedo nei miei colleghi e tutto sarebbe più fluido. E anche qui, che strano, solitamente erano i miei colleghi che invidiavano il mio savoir-faire con i clienti. Possibile che sia così cambiato? Possibile che una squinzia qualunque possa incidere così fortemente nella mia vita da farmi cambiare così tanto, addirittura da non riconoscermi più?
Attento Mario, stai dispensando colpe e potere al vento. Stai involontariamente colpevolizzando una persona che nemmeno conosci e gli stai dando un potere enorme. Se questa fosse al corrente delle tue emozioni e fosse anche una che se ne approfitta, saresti letteralmente spacciato. Diventeresti un pollo da spennare, strizzare e da mollare quando non serve più.
Osservati Mario. Cos’è cambiato in te? Cosa ti ha scatenato questa ridda di emozioni contrastanti che ti ha letteralmente fatto perdere il controllo? E poi quale controllo, quello che credi di avere avuto sino ad ora e che non hai mai messo in pratica perché non ti è mai capitata una situazione simile? Probabilmente non hai mai avuto alcun controllo su di te.
Continua ad osservarti Mario, qualcosa in te sta uscendo e se ti osservi bene lo puoi vedere, stai imparando a conoscere aspetti di te stesso che nemmeno sospettavi, stai imparando che non sei poi così forte come credevi, e anche qui, evita di giudicarti, di sentirti inferiore, non passare da un estremo all’altro. Guardati, ascoltati, percepisci le tue emozioni, renditi conto quanto un’immagine possa essere così potente su di te, perché di un’immagine si tratta. Non la conosci nemmeno la proprietaria di quel bel faccino!
E adesso smettila di sognare, sono già le tredici e venti, l’ultimo cliente ti ha pagato e aspetta il resto, i tuoi colleghi se ne sono già andati e devi chiudere la cassa, cambiarti, uscire e andare in quel bar…
Oh, ecco, finalmente sono uscito e ora sono me stesso. È stato utile tutto questo rimuginare, ora sono pronto ad incontrarla e non mi importa nulla di ciò che succederà, non mi importa se sembrerò imbranato, non mi importa come potrò apparire ai suoi occhi e non mi importa neppure uscire con lei… almeno… credo…
Dall’esterno del bar sbircio dalle vetrate per vedere se c’è. No, non c’è ancora. Entro e ordino un toast e una birra e mentre la cameriera mi appoggia il vassoio sul tavolo ecco la porta che si apre per far entrare il gruppetto delle ragazze. La bionda con il tacco 12, la mora robusta e la bruna con i leggins disegnati addosso, ma lei non c’è, aspetto un altro po’, ma di lei nessuna traccia, non c’è. Possibile che oggi non sia venuta? Che sia ammalata? Avrà avuto qualche contrattempo e arriverà in ritardo? Un’infinità di pensieri negativi mi assale e la mia ansia aumenta. Mi sento fortemente agitato e non riesco a calmarmi. Ordino un’altra birra, il toast non so nemmeno quando l’ho mangiato, so solo che nel piatto non c’è più.
Le ragazze si erano sedute dalla parte opposta della sala e ogni tanto qualcuna di loro mi guardava sorridendo maliziosamente con le altre. Sembrava che l’argomento della giornata fossi io e guarda caso, nessuno dei miei amici che solitamente si fermavano a bere il caffè, passò di lì. Almeno mi avrebbero aiutato a mantenere un contegno. Invece no. Mi sentivo veramente solo e preso in giro, quando di scatto mi alzo e vado al tavolo delle ragazze e, facendo finta di nulla, tra un apprezzamento ed una battuta, chiedendo di lei mi sento rispondere che, purtroppo, qui, non la vedrò più, perché è dovuta ritornare urgentemente al sud a causa di gravi problemi famigliari, problemi che si sarebbero protratti nel tempo e per questo motivo, probabilmente, si sarebbe trasferita anche con il lavoro in una filiale della sua città.
Che sconforto, caro Mario, che delusione, dopo tutta questa mole di lavoro mentale tutto finisce nel nulla e, per salvarti, dici che lei non era poi così importante perché tale l’avevi resa tu. E non hai nemmeno voglia di andarla a trovare, al di là della distanza, che non sarebbe un problema, non sapresti nemmeno cosa dire, non hai avuto il tempo di conoscerla e non sai nemmeno se avrete qualcosa in comune. Non lo fai apposta, ma quel bel faccino sta iniziando a sbiadirsi nella tua mente e pian piano stai ritornando in te. E ti sei pure dimenticato di chiedere alle sue amiche come si chiama, ma non fa nulla…
Ora Mario è di nuovo in sé e crede di non essere più forte come prima, ma, anche se non lo sa, lo è di più, molto di più, perché ha imparato a vedere alcune delle sue emozioni, ha imparato alcuni aspetti di se stesso che non pensava nemmeno potessero appartenergli e, tra un po’, quando avrà l’opportunità di mettere in pratica l’esperienza acquisita, potrà anche permettersi di lasciar correre, di lasciare andare, di far scivolare via ciò che, per ora, lo rende così triste.
La stampella
Sono passate soltanto due settimane e il periodo di quel meraviglioso incontro sembra ormai lontano. La vita ha ripreso la sua routine, casa, lavoro, amici, divertimento (così, così), qualcuno salutato per strada più per darsi un tono che per vero interesse, le solite notizie, ecc. ecc. Oggi però sembra una giornata diversa. Mario non conosce il motivo di questa sensazione, sembra che nell’aria si respiri qualcosa di nuovo. Dovrò pur continuare a vivere! Ci sono un’infinità di donne nel mondo, per esempio, guarda quella, indicando a se stesso una ragazza sul lato opposto del marciapiede, sembra la Silvia. Se non sapessi che quattro anni fa si era trasferita in un’altra città per studiare, direi proprio che è lei. Un po’ stanca forse, anche un po’ dimagrita. Anche il sorriso sembra cambiato, non è più così smagliante come lo era un tempo… prima che partisse… perché si era invaghita di un altro…
Mentre ero immerso in tutti questi pensieri, tanto da non vederla più, sento una voce femminile gridare il mio nome.
– Mario, Mario, mi senti?
– Mario sono Silvia, sono di qua dalla strada, aspettami!
Conoscevo bene quella voce, il tono era rimasto lo stesso, era proprio lei, Silvia e cosa ci faceva qui? Era ancora vivo nella mia mente il ricordo di lei, era stata la mia ragazza per alcuni anni e, se non ci fosse stato quello là…
Nel frattempo Silvia aveva attraversato la strada e gli era apparsa davanti e i due non resistettero ad abbracciarsi come due vecchi amici.
– Ciao, quanto tempo! Tutto avrei pensato, ma non certo di incontrarti oggi, come va?
– Ma davvero? E tu stai bene?
– Si anch’io, certo.
E via con una serie di convenevoli che starebbero a pennello sulla bocca di due vecchie comari piuttosto che di due giovani ragazzi.
Ma c’era ancora qualcosa tra di loro. Quando una relazione viene troncata di netto rimane sempre un po’ di amaro in bocca, amaro che si manifesterà automaticamente al prossimo incontro che, anche se avverrà dopo molti anni ci riporterà sempre a quegli ultimi istanti…
Silvia era ancora molto bella, assolutamente desiderabile e, parlando parlando, Mario scoprì che non era più con il nuovo ragazzo, che era ritornata a vivere con i suoi e che si era trasferita solo ed esclusivamente per terminare gli studi. Scoprì anche una ragazza molto sola, e, conoscendola, sapeva bene che non ne era il tipo. Non era capace di stare da sola, aveva continuamente bisogno di attenzione e anche lui ne aveva. Si ricordava di quando stessero bene quando erano assieme, una bella coppia affiatata che riusciva a cavarsela in ogni situazione, ma ora, tutti e due sembravano aver perso la freschezza, gli avvenimenti della vita li avevano cambiati e non erano più così spontanei. Riuscirono persino a dirselo e alla fatidica domanda, la risposta comune fu – sarebbe bello, ma…
Passò un’ora così velocemente che nessuno dei due se ne accorse e Mario, che doveva ritornare al lavoro dovette scappare via di corsa promettendole, però, che si sarebbero rivisti.
– Ti chiamerò prima o poi, sì anch’io, ciao, ciao, ciao…
Nei momenti di crisi ogni occasione, anche la meno indicata, può trasformarsi in una stampella alla quale appoggiarsi. Fortunatamente sia lui che lei, dentro, lo sentivano.
Al lavoro Mario era sempre brillante, sapeva cavarsela con i clienti, era una di quelle persone con le quali si parla volentieri e, fortunatamente per lui, era apprezzato sia dai clienti che dai colleghi. Avendo così modo di esprimersi, le ore passavano più velocemente e, anche quel senso di tristezza che ogni tanto lo coglieva, era meno pesante. Il rapporto con gli amici non era un problema, tanto loro seguivano sempre lui e anche se poteva sembrare meno figo, continuava ad essere lui il leader. A casa, invece, un vero musone, ricordate quella sera con i genitori? Non si era mai più ripetuta. Mangiava, salutava e spariva nella sua camera.
Non abbacchiarti Mario, la vita continua e ha ancora molte cose in serbo per te.
Lo tsunami
Vivaldi in arrivo! È ora di alzarsi!
Non so perché ma sento che oggi sarà una giornata splendida.
Era ora che ti svegliassi da quel torpore, anche le altre giornate potevano essere state splendide se non ti fossi chiuso a riccio con le tue immagini di sofferenza.
Dai, vai che è tardi. E mentre, con il solito autobus, andava al lavoro promise a se stesso di non piangersi più addosso.
Perché non poteva essere splendido con se stesso?
Chi glielo vietava?
E così fece e si ripromise pure di andare a prendere un caffè proprio in quel bar dal quale non passava da più di due settimane.
Bravo Mario, così si fa, così si ricomincia a vivere!
Era veramente una bella giornata, da lontano, si vedeva il bar pieno zeppo di gente, del resto era un bel posto, ben tenuto e sia i proprietari che le cameriere facevano di tutto per mantenerlo pulito e in ordine e i clienti, che lo percepivano, continuavano a ritornare.
Come al solito, prima di entrare diede una sbirciatina dall’esterno per vedere se c’era posto a sedere e vide le solite persone sempre sedute al solito tavolo, c’erano anche le amiche, c’erano proprie tutte e quattro. Bene, meglio così, qualche certezza ogni tanto non guasta. C’è un tavolo libero, entro subito prima che qualcuno me lo freghi.
Ma come QUATTRO?
E il cuore iniziò a palpitare come non aveva mai fatto, mi sembrava di avere una bomba nel petto pronta a scoppiare, l’emozione era tale che la saliva mi si azzerò così tanto che la bocca non si apriva, non so come feci a trattenere le lacrime.
Ma allora l’altra, di spalle, era lei?
Non so come ma ero riuscito ad entrare e a sedermi poco distante. In quel momento non avevo neppure la forza di muovermi, come avrei fatto ad alzarmi e a portarmi sino a quel tavolo senza sembrare un comico imbranato che imita un paralitico?
Fortunatamente la ragazza si girò e… oddio era proprio lei e più bella di prima!
Uhhh… che faccio adesso?
E mentre mi vede, sfoggiando un sorriso che parlava da solo, disse – ciao, anche tu qui?
Allora, l’impeto interiore, molto più forte delle emozioni che stavo provando, mi fece alzare e con poco più di un filo di voce le dissi – ma non eri ritornata a casa? Credevo di non vederti più.
E lei, compresa la situazione, salutò le sue colleghe e si diresse verso di me.
Posso? – mi disse indicando la sedia.
Certo, molto volentieri.
Eravamo solo noi due a quel tavolo, e anche se il locale era pieno di gente, a noi sembrava vuoto. Subito si scusò perché, quel pomeriggio, quando ci demmo appuntamento, ancora non sapeva cosa sarebbe successo ma, sfortunatamente lo imparò subito dopo.
La madre ebbe un incidente e fu ricoverata con prognosi riservata, nessuno sapeva se ce l’avrebbe fatta a superare la notte. Il padre, ormai anziano e i fratellini ancora piccoli non erano in grado di badare alla famiglia e di arrangiarsi da soli, così lei acconsentì di partire per andare a svolgere il ruolo che le competeva. Informò subito l’azienda, che la aiutò in questa situazione difficile. Non c’era nient’altro nella sua testa se non il pensiero di sua madre che di lì a poco poteva non esserci più. Fortunatamente, la madre superò la prima nottata, e poi anche le altre e dopo una settimana si cominciò a sperare di portarla a casa.
È a questo punto che mi sei tornato in mente tu. Sembrava che te l’avessi data buca, ma non sono quel genere di ragazza e mi dispiaceva moltissimo averti lasciato lì, tutto solo ad aspettare una persona apparentemente insensibile. Così telefonai alle colleghe e dissi loro di rintracciarti, ma nessuno sapeva chi eri, e poi non se la sentivano in verità di cercare a fondo per trovarti.
Un po’ di gelosia? Un velo d’invidia? Non lo so.
Mia madre era ancora in ospedale e non me la sentivo di impegnarmi a tempo pieno in cose che non fossero indispensabili alla vita della famiglia. Mio padre ed i miei fratellini avevano continuamente bisogno di me e così, non insistei. Ma la settimana successiva, insperatamente, mia madre ebbe un recupero formidabile, tanto che dopo due giorni la rimandarono a casa. E, orgogliosa come tutte le donne del sud, seppure acciaccata, disse che ce l’avrebbe fatta a badare alla famiglia, semmai si sarebbe fatta aiutare dalla sua amica che abitava lì vicino, ma sua figlia no! Sua figlia doveva essere libera di vivere la propria vita, aveva già fatto molto per i suoi e non doveva assolutamente sacrificarsi ancora.
– Ed eccomi qua, sono tornata ieri sera e la prima cosa che desideravo era vederti.
– Non so spiegarmi perché, ma anche quando ero laggiù e riordinavo, pulivo la casa, facevo da mangiare e accudivo i miei fratelli, mi venivi in mente tu e stavo bene. Non ti voglio spaventare sai, non sentirti obbligato di nulla, te lo dico così, per condividere con te delle emozioni che non avevo mai vissuto. Non vedevo l’ora di vederti per dirtelo.
– E ora, purtroppo, si è fatto tardi, devo proprio andare al lavoro.
– Chissà perché, quando stai bene con qualcuno il tempo vola.
– Ci vediamo domani, vero?
– Sì, risposi io.
– Così iniziamo subito a parlare e chissà che poi non ci conosciamo meglio, ti va?
– Sì… rispondevo soltanto a monosillabi, ero sconvolto, non sapevo più cosa fare. L’avevo appena ritrovata e adesso ripartiva, solo fino a domani, ma a me sembrava un tempo infinito.
Ce la farò ad arrivare a domani?
E il tempo passerà lentamente o sarà veloce?
– Ciao, a domani allora, disse.
–… a … a … a domani!
Ritornò al tavolo delle colleghe che, spazientite, la stavano aspettando e uscirono. Ma in quel momento mi venne in mente che non gli avevo ancora chiesto il nome. Uscii di fretta, ma lei era già lontana e allora, con tutto il fiato che avevo in corpo, gridai – come ti chiami?
– Maa… rispose.
– Come?
– Maa…
– Proprio adesso doveva passare quell’autobus così rumoroso? Abbozzai un gesto di saluto!!
– E lei, arretrando, mi inviò un bacio soffiandolo dal palmo della mano…
– Uffa! Ma com’è questa storia che non riesco mai a chiedergli il nome?
Mario ora è a casa, si è fatto una bella doccia e si accinge a mettersi a tavola con i propri genitori che, stupiti dall’insolita energia emanata dal figlio si guardano con malcelata preoccupazione, come se … e infatti, quando tutti si siedono e iniziano a mangiare, una voce di un ragazzo radioso e felice, una voce forte e presente esclama: – allora, dove eravamo rimasti…
Roberto Calaon