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Neuroni, sinapsi e abitudini

Immaginate tanti piccolissimi polipetti pieni di tentacoli, alle cui estremità ci sono delle appendici che, per comodità, chiameremo manine. Queste manine non amano starsene libere, debbono sempre afferrare qualcosa, cercano in continuazione altre manine e, dopo averle trovate tendono a non mollare più la presa. Ecco, i polipetti sono i nostri neuroni, le manine sono le sinapsi e il risultato di queste prese, di questi movimenti, lo definiremo abitudini.

Alla base di tutto ci sono le credenze. Ciò in cui crediamo si manifesta in forma di certezze acquisite. E subito dopo intervengono le abitudini – ho sempre fatto in questo modo ed è sempre andata bene, perché dovrei cambiare proprio ora? E le aspettative (che sono anch’esse delle abitudini) – con tutti i piaceri che gli ho fatto vuoi che proprio adesso, che ne ho bisogno io, si tiri indietro?  – Con queste premesse i polipetti (i nostri neuroni) di cui stiamo parlando continueranno a stringere sempre le stesse manine (le nostre sinapsi) rinforzando le credenze acquisite in anni di scontatezze. Ma cosa succede quando queste certezze non si avverano? Cosa succede quando, nella maggior parte delle volte, la vita non ci ritorna ciò che, in base alle nostre aspettative, avrebbe dovuto realizzarsi? Allora troviamo persone che ripetono all’infinito le solite frasi – perché proprio a me? – cos’ho fatto di male per meritarmi questo? – non è giusto! – eccetera… eccetera…

Senza dubbio queste persone stanno male, stanno soffrendo perché ciò che si aspettavano non si è realizzato, anzi, si è realizzato l’esatto contrario e non riescono a farsene una ragione. Questo succede molto spesso a coloro i quali, immersi in situazioni per loro fondamentali, qualunque esse siano, le vivono in maniera scontata senza porsi alcuna domanda.

Ricordate i polipetti? I nostri neuroni? Loro sono ancora lì a fare il proprio lavoro e lo fanno seriamente. Conoscono molto bene le nostre credenze, certezze e aspettative, le hanno consolidate loro, attraverso le abitudini che noi abbiamo continuato ad alimentare.

Il nostro subconscio, dal quale i neuroni prendono spunto per attivarsi, è come un bambino, è pulito non è capace di mentire, egli prende per buono tutto ciò che gli passiamo e se continuiamo a dirgli che quella situazione ci fa stare male, che quella persona è cambiata e anche se continuo a starci assieme non rappresenta più il mio ideale; che vorrei accadesse qualcosa che mi aiuti a superare questa situazione, il tutto condito ad un continuo arrovellamento mentale che non mi permette quasi di respirare: lui, il nostro subconscio, si attiverà e farà in modo di creare ciò che noi gli abbiamo chiesto. Ma il punto è proprio questo: cosa gli abbiamo chiesto veramente?

Non lo sappiamo. Il nostro stato di mancata consapevolezza che ci ha fatto stare bene per un periodo di tempo limitato, fino a quando non abbiamo capito che quella situazione non faceva più per noi, ha fatto scattare degli elementi dettati dalle nostre abitudini che ci hanno messi in tilt e che non hanno prodotto ciò che noi desideravamo.

E ora diventa indispensabile fare ciò che non avevamo fatto prima, cioè riflettere, comprendere, e discernere, perché essendo cambiati e quindi, diversi da prima, avremo la possibilità di perdonarci e di perdonare per ricominciare una nuova vita più consapevole più bella e più gratificante. E quelle manine (le nostre sinapsi) pian piano si staccheranno dal solito abitudinare e andranno a cercarne altre, più consone al nostro nuovo sentire, più in sintonia con il nuovo essere che siamo diventati, il quale ci ha consentito di vedere e di modificare quelle abitudini che, inconsciamente, ci facevano così tanto soffrire.

Ma come al solito tocca a noi. E a chi se no?



Roberto Calaon